Documentata per la prima volta nel 1509 ma sicuramente attiva già in età medievale, la Confraternita dei Battuti gestiva un ospizio per il ricovero di viandanti e malati all’interno del quartiere di Pez, chiamato Domus Dei.
L’ospedale era munito di una chiesa chiamata Santa Maria Nuova, distrutta da un incendio al principio dell’Ottocento e mai più ricostruita.
Nel corso del medioevo la crescente devozione e pietà popolare, ma soprattutto il desiderio di essere parte attiva nella vita religiosa della propria comunità, spinsero i laici e i chierici a riunirsi in gruppi di preghiera, per impegnarsi nel culto di un santo, nella cura di un altare, nell’organizzazione di momenti liturgici, processioni e cortei funebri. Queste associazioni, conosciute tradizionalmente con il nome di confraternite, raccoglievano i fedeli animati dall’esigenza di condividere un percorso di fede e spesso anche di esercitare insieme il comandamento della carità, offrendo ai più bisognosi un supporto spirituale, sociale e, a volte, anche economico. L’esistenza di confraternite nella penisola italiana è documentata a partire dal IX secolo, anche se è soprattutto dal secolo XII che i laici svilupparono delle confraternite autonome. In seguito alla nascita del movimento dei Disciplinati a Perugia nel 1260, queste esperienze si diffusero velocemente nell’Italia centrale e settentrionale.
Le confraternite dei Disciplini, dette anche dei Battuti, si caratterizzavano per la pratica dell’autoflagellazione, ovvero per l’uso dei confratelli di percuotersi con un flagello (disciplina) durante le processioni. Le confraternite dei Battuti univano spesso alla finalità religiosa e penitenziale anche quella assistenziale, che si traduceva nell’istituzione e gestione di ospedali per i poveri e gli ammalati. Le prime confraternite di laici del principato vescovile di Trento appartenevano proprio al movimento dei Battutti e risalgono all’inizio del XIV secolo: la prima testimonianza di una confraternita dei Battuti è un lapide del 1340, che individua la loro sede, la «casa della Disciplina», posta di fronte alla chiesa di Santa Maria Maggiore a Trento. I Battuti di Trento amministravano nelle vicinanze della propria casa un ospedale, denominato Ca’ di Dio, che offriva ai forestieri e agli ammalati un rifugio temporaneo per un massimo di tre giorni. L’esperienza di Trento rappresenta quella più antica del principato vescovile, ma nel corso del medioevo si trovano diversi gruppi di disciplini nel territorio diocesano: a Coredo sono documentati dal 1348, a Arco esisteva un hospitale batutorum nel 1356, in Val Rendena sono presenti a partire dal 1365, a Vervò dal 1388 e a Riva esisteva un ospedale dei Battuti nel 1450. Non appare perciò straordinario constatare che, anche nella comunità di Cles, la prima confraternita appartenesse al movimento dei Battuti e che avesse la gestione di un proprio ospizio. La presunta data della sua fondazione, tradizionalmente collocata a metà del XIV secolo, è ancora priva di una evidenza documentaria e perciò non rimane alternativa che affidarsi al più antico documento nella quale è citata: l'acquisto di una camera da parte del ministro e dei due massari della confraternita nel 1509. La confraternita appare quindi come un ente costituito sicuramente in età medievale e già pienamente attivo all’inizio del Cinquecento. La sede del sodalizio era la cappella di Santa Maria nuova con l’altare omonimo all’interno dell’ospedale, detto anche Ca’ di Dio o Domus Dei. Nella stessa cappella fu poi consacrato dal vescovo Gabriele Alessandro nel 1586 l’altare maggiore dedicato a San Rocco: la prima intitolazione della confraternita, Santa Maria, fu quindi lentamente soppiantata dal titolo di San Rocco.
La gestione dell’ospedale alla confraternita fu conferma ufficialmente nel 1535 dal principe vescovo Bernardo Cles, il quale aveva deliberato che l’ospedale fosse governato unicamente da due rettori nominati ogni due anni dal Consiglio della confraternita e sancito così l’autonomia dell’ente da qualsiasi altra autorità. Così come ci è ignota la data di costituzione della confraternita, lo sono pure le regole proprie della vita associativa: non ci sono pervenuti i capitoli che definivano il regolamento e la struttura organizzativa dell’associazione. Per colmare questa lacuna, però, è possibile fare ricorso allo statuto della confraternita cittadina di Trento, che dimostra legami molto forti con quella di Cles e con le altre confraternite dei Battuti della diocesi tridentina. Nello statuto in volgare dei Battuti di Trento si afferma infatti: «questi sien i statuti e i ordinamenti fati e compilati per li batuy di Trento e de tuto lo vescova». Il fulcro della vita associativa era la preoccupazione per la salvezza della propria anima. Per conseguire questo scopo il fedele doveva da una parte purificarsi e allontanarsi dalle tentazioni del demonio attraverso l’esercizio della disciplina, dall’altra rispondere al messaggio evangelico e praticare la carità. Per essere accolti era innanzitutto necessario confessarsi e restituire quanto ottenuto in modo illecito. Tutti i membri dovevano mantenere un comportamento modesto, essere sobri e tenersi lontani dalle taverne e dal gioco d’azzardo. La disciplina, ovvero la pratica della penitenza pubblica con la flagellazione, si svolgeva secondo un calendario ben definito e i membri erano obbligati a partecipare alla processione vestendo la cappa, ovvero l’abito rituale, e portando la frusta. Le opere assistenziali erano rivolte soprattutto ai malati e ai bisognosi: i Battuti dovevano visitare i propri confratelli infermi e accompagnare il corteo funebre di tutti i suoi membri. La quota associativa annuale era destinata agli indigenti e le infrazioni allo statuto erano giudicate dal ministro, un membro interno eletto annualmente per guidare la compagnia. L’amministrazione dei beni era invece affidata a due ‘massari’.
La confraternita dei Battuti di Cles adottava con ogni probabilità lo statuto della confraternita di Trento. Nella visita pastorale del 1579, svolta durante l’episcopato di Ludovico Madruzzo, è registrata la presenza di un libro con le regole, oggi purtroppo perduto. I visitatori si soffermano però a sottolineare come queste siano in gran parte disattese, in special modo quelle riguardanti la pratica della disciplina, che doveva essere esercitata nella prima domenica di ogni mese, nella festa di San Rocco e in molte altre feste, adducendo come motivazione l’indulgenza dei sacerdoti. La confraternita dei Battuti, in pratica, mancava proprio alla sua vocazione originaria. Tra le caratteristiche peculiari della confraternita di Cles emerge invece l’usanza di celebrare nella festa di San Rocco una messa in suffragio di tutti i confratelli defunti e di distribuire, in quell’occasione, una elemosina generale di pane ai confratelli. Tale tradizione, però, unita all’obbligo di dare l’elemosina anche a tutti i preti presenti, risultava economicamente eccessiva per una «confraternita di misericordia» che poteva contare solo sulla generosità dei propri iscritti. Una seconda tradizione della confraternita dei Battuti era l’organizzazione di un pranzo comunitario per i confratelli nella domenica immediatamente dopo la festa di San Rocco, il 16 agosto. Le regole della confraternita dei Battuti di Trento furono riformate nel 1580 in seguito alle richieste del principe vescovo Ludovico Madruzzo ed è verosimile che anche la confraternita di Cles abbia inizialmente recepito le nuove modifiche, come dimostrano le due copie degli statuti tridentini presenti nell’archivio dei Battuti di Cles. Tra le novità introdotte dai nuovi statuti si trova l’innalzamento dell’età minima degli aderenti dai 14 ai 20 anni, per garantire una maggiore selettività della compagnia, la scomparsa delle prescrizioni sui simboli da portare sugli abiti, una riduzione delle pratiche di pietà (la recita giornaliera di 25 Pater e di 25 Ave è ridotta a 5 e 5), una maggiore precisione nella definizione dell’organizzazione interna, della distribuzione dei compiti e dell’amministrazione. Queste nuove norme non rimasero però in vigore a lungo a Cles: nel 1608 la confraternita di San Rocco ottenne con la bolla di Paolo V la conferma di uno statuto proprio. Anche se nella relazione dei delegati del 1616 si afferma che gli statuti della confraternita dell’ospedale di Cles erano conformi a quelli della «frataglia di Trento», le differenze sono molteplici.
Gli statuti di Cles contano solamente 15 capitoli e riguardano soprattutto l’organizzazione della compagnia e il suo rapporto con l’ospedale; manca del tutto qualsiasi riferimento alla pratica della disciplina, alla descrizione delle regole all’interno dell’oratorio e sono assenti anche gli articoli restrittivi sul comportamento etico-sociale. Il limite anagrafico per entrare nella compagnia non è punto citato mentre sembrano più gravose gli obblighi sacramentari: sono richieste 5 confessioni all’anno (a Pasqua, Pentecoste, Natale, nel giorno dell’Assunta e nella festa di San Rocco, mentre a Trento erano previste solo 2); tutti i confratelli sono obbligati a recitar ritu duplici nell’Oratorio nella chiesa dell’ospedale «ogni domenica dopo le quattro tempora, la terza domenica di Pasqua, delle Pentecoste, del Santissimo Natale, la domenica tra l’ottava di S. Rocco, e quella più vicina alla festa di Sant’Antonio Abbate, e la domenica dopo la commemorazione de’ Morti» e a partecipare alle processioni «del Corpus Domini, e sua ottava, nell’accompagnare il Santissimo Sagramento alle 40. Ore il giorno delle Palme, e Mercoledì Santo, nelle Feste dell’Assunzione di Maria Vergine, di S. Rocco, e nella solennità del Santissimo Rosario con Candele accese. Nelle altre processioni della Natività di Maria Vergine, della quarta Domenica di Settembre, delle visite de’ Sepolcri senza candele colla Cappa». La struttura gerarchica appare invece molto simile a quella di Trento: anche a Cles la vita dell’associazione era guidata da un ministro affiancato da un vicario e da dodici consiglieri; tutte le cariche associative dovevano essere rinnovate ogni tre anni. Il ministro, il vicario e i consiglieri dovevano nominare, come in passato, i due rettori dell’ospedale. Con il nuovo statuto l’antica autonomia della confraternita di Battuti era però stata ridimensionata a favore di una maggior dipendenza dall’autorità ecclesiastica, proprio come era stato prescritto dal Concilio di Trento. A capo della confraternita il nuovo statuto prevedeva che le cariche di ministro e di vicario fossero ricoperte, alternativamente, da un sacerdote e da un secolare. Nel 1616 i delegati vescovili intervennero direttamente nella gestione della compagnia proibendo la pratica del tradizionale pranzo comunitario, per limitarne forse la spesa eccessiva, e imponendo che la benedizione dei nuovi iscritti alla confraternita fosse data dal parroco e non più da un laico. Un’ulteriore ingerenza vescovile fu registrata nel 1672, quando agli amministratori della confraternita fu imposto di provvedere alla distribuzione delle candele per i confratelli solamente in tre occasioni: alla processione del Corpus Domini, a quella del Venerdì Santo e a quella della festa dell’Assunta, vietando loro di pagare le candele nelle altre feste; inoltre, fu proibita la distribuzione delle candele anche ai confratelli durante il funerale degli associati: le candele (di importo massimo di tre lire l’una) potevano essere date solo ai sei confratelli vestiti con la capa nera che accompagnavano il feretro.
La confraternita dei Battuti rimase apparentemente l’unica congregazione religiosa attiva di Cles fino alla metà del Seicento, in quanto la sola citata nelle relazioni delle visite pastorali e la sola a presentare il rendiconto economico. La menzione della seconda confraternita di Cles, quella del Rosario, è registrata negli atti visitali solo a partire dal 1668. Nella tradizione storiografica, però, è rimasta memoria di un diploma di erezione della confraternita del Rosario datato 8 marzo 1600, ogni perduto, spedito dall’arciconfraternita del Rosario di S. Maria sopra Minerva a Roma. Secondo monsignor Negri, il diploma riconosceva l’esistenza della confraternita del Rosario e la arricchiva di tutte le indulgenze già concesse alle confraternite dell’ordine dei domenicani. Alla confraternita veniva assegnato l’altare del Rosario nella chiesa parrocchiale, il ruolo del rettore veniva riservato al pievano e ai confratelli erano prescritti l’obbligo di celebrare la festa del Santissimo Rosario nella prima domenica di ottobre, di tenere un registro degli scritti e di dipingere l’immagine della Madonna del Rosario con San Domenico che riceve la Corona e intorno a essa «i misteri della nostra Santa Redenzione». Il contenuto del diploma ricorda diversi altri documenti di erezione provenienti dalla chiesa di S. Maria sopra Minerva in Roma, concesse proprio tra la fine del Cinquecento e i primi decenni del Seicento e ancora conservati negli archivi parrocchiali della diocesi tridentina. A differenza delle altre confraternite religiose laicali, quella del Rosario non necessitava dell’approvazione vescovile ma poteva essere eretta direttamente dai rappresentanti dell’ordine domenicano. Le confraternite del Rosario conobbero uno straordinario successo in seguito alla vittoria contro i Turchi nella battaglia navale di Lepanto nel 1571, che fu immediatamente legata all’intercessione della Madonna del Rosario: a metà dei Seicento, per esempio, si contavano entro i confini dell’attuale diocesi di Trento oltre 120 realtà confraternali attive, di cui un terzo dedicato alla Madonna del Rosario. La scarsissima documentazione di questo sodalizio giunta fino a noi impedisce una descrizione puntuale della sua struttura e organizzazione. La confraternita del Rosario aveva finalità esclusivamente religiose e cultuali: i confratelli dovevano impegnarsi per la promozione del culto di Dio e della fede religiosa, per la diffusione dei valori della vita cristiana e della devozione al Rosario. Secondo lo statuto dell’arciconfraternita del Rosario di Roma, oltre alla celebrazione della festa del Rosario a ottobre, i confratelli dovevano trovarsi settimanalmente per la recita del Rosario e ogni prima domenica per la processione mensile da svolgersi secondo quest’ordine: cioè prima la Croce con li reverendi frati o preti, li quali anderanno cantando l’Ave Maria stella, o altra cosa simile, dietro li quali li seguirà il sacerdote, vestito con il piviale, portando la reliquia, appresso vadano li priori, uno dalla destra, l’altro dalla sinistra, con le torce accese, sequitando doppò di loro gli altri officiali con le candele accese, doppo li quali anderanno le priore con le falcole, dategli dal mandatario, et appresso a loro tutti gli altri fratelli e sorelle, che vogliono seguitare la processione. Arrivati alla cappella, cantino le litanie, o qualche antifona della Vergine, et nel fine si scopra l’imagine della santissima Madonna. La confraternita del Rosario possedeva un patrimonio proprio, costituito grazie alle donazioni dei confratelli, da cui ricavava il necessario per le uscite ordinarie e straordinarie. Rispetto al capitale posseduto dall’ospedale, quello dei confratelli del Rosario era decisamente inferiore, ma inferiori erano anche le spese che doveva sostenere: il registro dei conti della confraternita riporta solamente pagamenti per la celebrazione della messe legatarie, il salario al sacrestano. Una voce specifica della confraternita era la cura del proprio altare: tra il 1798 e il 1804 ritornano frequentemente le spese per la manutenzione e l’abbellimento della statua della Madonna del Rosario. Le confraternite del Rosario sono, accanto a quelle del Santissimo Sacramento e della Dottrina Cristiana, il prodotto tipico della nuova devozione promossa dal Concilio di Trento, incentrata sul culto dell’eucarestia e sull’educazione religiosa. È davvero curioso che a Cles queste altre confraternite abbiano visto la luce molto più tardi: si ha notizia della presenza di una confraternita della Dottrina cristiana solo nel 1695, quella del Santissimo Sacramento fu istituita addirittura nel 1828. La documentazione rimasta sulle altre confraternite presenti di Cles è molto esigua e limitata a qualche nota di presenza: la confraternita della Dottrina cristiana risulta attiva nel 1751 e nel 1766; i suoi confratelli partecipavano alla processione nella quarta domenica del mese; sulla compagnia Beata Vergine dei Sette Dolori, detta anche dell’Addolorata, è rimasta solamente la testimonianza della sua aggregazione alla compagnia di Innsbruck nel 1723 e della esistenza fino al 1766. Le confraternite animavano la vita religiosa della città ed erano le protagoniste dei momenti comunitari, in particolare delle processioni ordinarie (quelle festive) e straordinarie (una volta all’anno a San Romedio e una a Santa Emerenziana), che si svolgevano secondo un rigido ordine: «precede il crocefisso poi li gonfalloni, e le crozi, seguitano li fanciulli, poi li confratelli di S. Rocco con sue cape turchine».
Le confraternite religiose laicali di Cles furono repentinamente soppresse, insieme a tutte quelle del territorio diocesano tridentino, in seguito all’annessione del principato vescovile di Trento al Regno d’Italia napoleonico nel 1810. Le associazione religiose del Regno d’Italia erano infatti state chiuse nel 1807, tutti i loro beni confiscati e gli archivi requisiti: a Cles la confraternita di San Rocco dovette cedere i propri beni alla Congregazione di Carità mentre il patrimonio della confraternita del Rosario passò nelle mani del governo. Solamente con l’avvento del governo austriaco le associazioni religiose laicali poterono nuovamente riorganizzarsi, ma con caratteristiche profondamente mutate: dovettero rinunciare a qualsiasi spazio di indipendenza dal clero, ridurre le loro finalità a quella strettamente religiosa e soprattutto persero l’autonomia economica. La prima confraternita a ricevere l’approvazione vescovile dopo la fase delle soppressioni fu quella del Santissimo Sacramento, istituita nel 1828. In seguito fu eretta nel 1855 quella dedicata al Sacro Cuore di Maria e nel 1909 quella delle Madri Cristiane.
La confraternita di San Rocco non riacquistò mai un nuovo diploma ufficiale ma sopravvisse ugualmente: nel 1829 il parroco Giovanni Battista Tolameotti, nel richiedere alla Curia vescovile la rierezione della confraternita (permesso negato perché inizialmente le autorità austriache permettevano solamente la creazione di confraternite dedicate al Santissimo Sacramento), dichiarava che questa era ancora esistente. L’attività di queste associazioni proseguì almeno fino alla metà del Novecento quando risultavano ancora iscritti 779 membri alla confraternita del Santissimo Sacramento, 214 in quella delle Madri Cristiane, 194 in quella delle Figlie di Maria. A giudizio del parroco, però, queste risultavano inadeguate a rispondere alle esigenze religiose dei tempi moderni e mostravano già i segnali di crisi che portarono, di lì a poco, al loro progressivo e definitivo superamento:
«Le confraternite del Santissimo Sacramento e di San Rocco non ottengono il loro scopo, inquantochè la grande maggioranza degli ascritti è iscritta di nome, ma effettivamente non sa di essere iscritta a tali confraternite. Ci vuole una riforma, così non si può assolutamente andare avanti; la cosa deve essere studiata anche al centro, perché è un male comune»