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Descrizione

Con l’editto imperiale del 46 d.C., noto come “Tavola clesiana”, l’Imperatore Claudio concede la cittadinanza romana alle popolazioni locali.
Si tratta di un reperto di eccezionale importanza, che testimonia una transizione non traumatica fra la cultura retica e quella romana.
Tavola Clesiana 1 Cles
Tavola Clesiana 2 Cles
 
La lastra di bronzo venne ben presto analizzata anche da importanti studiosi dell'epoca, quali Theodor Mommsen, professore di storia romana all'Universitá di Berlino, e Francesco Schupfer, docente di storia del diritto all'Universitá di Padova, che la tradussero: essa riportava l’editto con cui l’imperatore Claudio, alle idi di marzo dell’anno 46 d.C., dalla sua residenza di Baia, nei pressi di Napoli, concedeva la piena cittadinanza romana ad alcuni gruppi etnici trentini: gli Anauni, i Sinduni e Tulliassi, che oggi identifichiamo come popolazioni afferenti alla cultura Fritzens-Sanzeno, o retica. Questi popoli, si evince dalla tavola, erano stati in parte già “annessi” (adtributi) alla città di Tridentum (fondata presumibilmente nel I secolo a.C.), mentre altri afferivano a terreni di probabile proprietà imperiale, o erano stanziati su suoli che li rendevano peregrini, lo status giuridico degli abitanti delle province che non godevano dei diritti dei cittadini romani.
 
Mentre erano consoli Marco Giunio Silano e Quinto Sulpicio Camerino (46 d.C.), alle Idi di marzo, a Baia nel pretorio, fu proposto come editto di Tiberio Claudio Cesare Augusto Germanico quanto sotto è scritto. [...] Per quanto riguarda la condizione degli Anauni, dei Tulliassi e dei Sinduni, parte dei quali si dice che il denunciante abbia dimostrato adtribuita ai Tridentini, parte neppure adtribuita, sebbene io veda che questa genìa di uomini abbia una cittadinanza romana di origine non troppo sicura: tuttavia, poiché - a quanto si dice - essi ne furono in possesso per lunga usurpazione e in modo così promiscuo con i Tridentini che non si potrebbe separarli da quelli senza grave danno dello splendido municipio, permetto per mia concessione che essi permangano in quel diritto che essi credevano di possedere; tanto più volentieri perché parecchi di quella genìa - a quel che si dice - militano anche nel mio pretorio, certuni poi hanno comandato perfino delle centurie, alcuni ascritti nelle decurie a Roma esercitano le funzioni di giudice. Accordo loro questa concessione in modo tale che qualunque cosa trattarono o fecero come cittadini romani, o fra loro o con i Tridentini o con altri, ordino che venga ratificata e così permetto loro di conservare quei nomi, che prima ebbero in qualità di cittadini romani Il 29 aprile del 1869, ai Campi Neri, venne casualmente ritrovata una lastra di bronzo, alta 50 cm, larga 38, del peso di oltre 7 kg, che ben presto assurse agli onori della cronaca. Il verbale dell'autorità municipale, stilato il giorno successivo, recita: "la mattina di jeridì 29 corr. si sparse la voce in questa Borgata che in un campo di proprietà dei signori conjugi Giacomo e Maria Moggio di Cles, posto a sera della sua nuova fabbrica-filatojo in luogo detto ai Campi Neri, sia stata trovata da lavoratori intenti a scavare una buca per la calce una piastra metallica portante una latina iscrizione". Gli scavi archeologici del 2019 hanno permesso di ritrovare le tracce di una buca della calce esattamente nell’area indicata. Più avanti il verbale prosegue: "la piastra o lamina (lat. tabula) oggetto principale di questo documento venne ritrovata alle ore 7 antimeridiane corr. dal lavoratore Paolo fu Giovanni Fioretta di Cles che scavava la buca della calce insieme con gli altri due lavoratori G.Battista figlio di Ignazio Pancheri, e Giovanni del fu Luigi Dusini sotto la sorveglianza del Leonardo, figlio del signor Giacomo Moggio proprietario del campo. Fu trovata sul fondo della buca quasi finita, posta orizzontalmente e coi caratteri volti all'ingiù, ad una profondità dalla superficie del suolo di 65 cm, e presso alla piastra si rinvennero due punte arrugginite di giavellotto, un cultro da sacrificii e altri piccoli oggetti d'argento". 
Era stato proprio l’imperatore Claudio a sistemare organizzativamente e giuridicamente la situazione dello spazio alpino, portando a compimento il piano promosso da Augusto al termine dell’assoggettamento delle Alpi e dei suoi popoli; un piano che prevedeva, oltre alla municipalizzazione delle comunità civiche locali, la progressiva assimilazione a queste delle genti indigene limitrofe. In alcuni casi si ricorse alla già citata pratica dell’adtributio: si trattava di una forma di annessione tramite cui delle porzioni di territorio, pur non ricadendo direttamente nei confini di un municipio, di fatto si trovavano a dipenderne, in virtù di una serie di vincoli o obblighi che legavano le popolazioni adtribuitae alle città. I gruppi adtribuiti godevano di uno status giuridico inferiore a quello dei cittadini di pieno diritto dei municipia di riferimento: dovevano pagare un tributo alla città, erano loro vietati lo ius conubii e lo ius commercii, cioè il diritto di contrarre matrimoni e di stipulare contratti con cittadini romani, oltre che di prendere parte all’amministrazione della cosa pubblica. Si desume che, col progredire della romanizzazione, Anauni, Sinduni e Tulliassi, complici anche i sempre più stretti rapporti con gli abitanti di Tridentum, si fossero arrogati, pur in mancanza dei necessari requisiti, diritti e privilegi propri di chi godeva della piena cittadinanza, adottando il sistema onomastico romano (i tria nomina), arruolandosi nelle fila dei pretoriani, facendo carriera nell'esercito o inserendosi, a Roma, nelle decurie, con funzioni di giudici. Il 15 marzo del 46 d.C. l’imperatore Claudio, dopo essere stato informato della complessa questione e consapevole che una rigida applicazione della legge avrebbe innescato gravi strascichi sul piano giudiziario, amministrativo ed economico, con il suo editto legalizzò lo stato di fatto: concesse infatti a tutti gli Anauni, i Sinduni e i Tulliassi, adtributi e non adtributi, la piena cittadinanza romana, li autorizzò a portare i nomi romani che avevano arbitrariamente assunto, riconobbe con effetto retroattivo gli atti giuridici da loro illegalmente compiuti. Si trattava in tutto e per tutto di una sanatoria. Da quel momento questi popoli vennero iscritti alla tribù Papiria, come gli abitanti di Tridentum; è interessante notare, però, come anche in fonti molto più tarde i cittadini della Val di Non vollero sempre specificare di essere Anaunes prima che Tridentini, sottolineando una forte appartenenza territoriale. Senza entrare nel dettaglio degli scontri politici, talora anche molto accesi, che il ritrovamento provocò nei giorni successivi alla scoperta (La Voce Cattolica, di impostazione clericale e filoaustriaca, e Il Trentino, di sentimenti liberali e filoitaliani, battagliarono aspramente nel commentare e rivendicare il reperto), oggi è possibile affermare che l’editto rappresenta una fonte di eccezionale interesse per lo studio della storia romana, non solo di Cles e della Val di Non, ma di tutto il Trentino: documenta infatti una transizione assolutamente non traumatica, almeno nel nostro territorio, fra la cultura retica e quella romana. 
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Informazioni per la visita

La copia della Tavola Clesiana può essere vista all'interno di Palazzo Assessorile mentre l'originale si 

Orari di apertura

Palazzo Assessorile è aperto nei seguenti orari:

In estate aperto lunedì pomeriggio 15.00-18.30 e dal martedì alla domenica 10.00-12.00 / 15.00-18.30. 

In autunno, inverno e primavera aperto dal martedì alla domenica 10.00-12.00 / 15.00-18.00.

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