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Descrizione

Il sito archeologico di Valemporga, scavato nell’Ottocento dall’archeologo clesiano Luigi Campi, testimonia l’esistenza di un antico santuario a monte di Mechel.
I reperti rinvenuti sono conservati al Castello del Buonconsiglio (Trento) e al Landesmuseum Ferdinandeum (Innsbruck). 
Valemporga 2
Valemporga 1
Valemporga 3
Valemporga 4
Valemporga 5
 
Situata poco a monte dell’abitato di Mechel, la località Valemporga nella seconda metà dell’Ottocento è stata teatro di numerosi ritrovamenti che richiamarono l’attenzione di Luigi Campi. Il 16 aprile 1884 un ragazzo offrì in vendita all’archeologo clesiano alcuni oggetti in bronzo rinvenuti nel terreno di proprietà degli eredi di Giorgio Leonardi, “a sinistra della via che porta al monte” (particella fondiaria 36/1). Visitato il posto ed effettuato alcuni scavi preliminari, il Campi si assicurò il “temporario possesso dello stabile” per effettuare indagini più approfondite. I lavori di scavo si concentrarono in tre distinte campagne nelle estati del 1884, del 1885 e del 1886. L’archeologo clesiano documentò minuziosamente le sue scoperte in una serie di articoli apparsi in “Archivio Trentino”. Gli scavi riportarono in luce i resti di due strutture in muratura, con piano pavimentale in argilla, scavate nel versante montano inclinato. Entrambe erano coperte da un potente strato di terra nera mista a carboni e ossa, contenente un elevato quantitativo di piccoli reperti. Della prima struttura, scavata nella porzione settentrionale della particella, si conservavano i perimetrali sud, est e ovest, mentre il limite nord era probabilmente collassato nella forra sottostante; a ovest e a sud dell’ambiente erano presenti due muretti a secco di lunghezza maggiore. La seconda struttura è stata osservata nella parte meridionale dell’appezzamento; di questa si conservavano ancora i perimetrali sud, ovest ed in parte nord, mentre il muro est era stato probabilmente manomesso dallo sfruttamento agricolo del campo. In un sondaggio aperto verso il limite orientale della particella furono inoltre osservate due profonde fosse circondate da ciottoli e i resti di alcune murature a secco, il tutto coperto da spessi strati di terra nera, mista a carboni, cenere, ossa, cocci e qualche tegolone romano. Altri piccoli sondaggi aperti in più punti del campo non portarono al rinvenimento di ulteriori concentrazioni di stratificazioni scure. I livelli neri scavati nei tre nuclei sopra citati restituirono centinaia di eccezionali reperti, soprattutto oggetti d’ornamento (fibule, spilloni, pendagli, collane, bracciali, anelli, perle in ambra e in pasta vitrea), ma anche manufatti in piombo e in lamina di bronzo, frammenti ceramici, strumenti e monete. A livello tipologico, i materiali hanno un arco cronologico che va dal Bronzo Recente (XIII sec. a.C.) alla tarda epoca romana (IV sec. d.C.).
 
 
Nei suoi scritti il Campi, pur ammettendo che “chiari paletnologi si pronunciarono diversamente”, proponeva di identificare il sito come una necropoli molto manomessa e rimaneggiata, in cui erano attestati sia il rito dell’incinerazione, prevalente, che dell’inumazione. L’idea di associare Valemporga ad un luogo di culto, proposta da “uomini primissimi fra i cultori dell’archeologia”, veniva rifiutata dallo studioso clesiano per una serie di motivi, tra cui l’assenza di strutture interpretabili come tempio. Oggi, invece, l’identificazione del sito come area sacra è data per sicura. I livelli neri individuati dal Campi costituirebbero il risultato di precise pratiche di devozione, reiterate nel tempo, che erano caratterizzate dall’uso rituale di fuochi (tipo Brandopferplätze), a cui potevano essere associati il sacrificio di animali e l’offerta di doni votivi. L’esistenza di un santuario a Valemporga è confermata non solo dalla presenza degli abbondanti strati carboniosi, ma anche dal ritrovamento di reperti chiaramente identificabili come ex voto: lamine in bronzo ritagliate schematicamente (in forma di uomini, cavalli, cavalieri e parti anatomiche), frammenti di ossi e corna con iscrizioni in alfabeto retico, piccole ruote raggiate in piombo (alcune con tracce di parziale fusione), pendagli e fibule intere o intenzionalmente spezzate. In particolare, due classi di materiali, databili alla seconda età del Ferro, sono testimonianza di una produzione artigianale di manufatti con valore più simbolico/rituale che funzionale.
 
Si tratta di situle (tipici recipienti bronzei per la mescita del vino) miniaturizzate, ricavate da ritagli di lamina, deposte integre, sezionate o ripiegate secondo una modalità ripetuta che potrebbe sottendere uno specifico rituale. Anche alcuni tipi di fibule, di dimensioni ridotte e di costituzione fragile, caratteristiche che le rendono non utilizzabili per l’uso quotidiano, sarebbero oggetti realizzati esclusivamente per la sfera religiosa. La maggior parte dei reperti rinvenuti a Valemporga si conserva oggi nelle collezioni del Castello del Buonconsiglio e del Tiroler Landesmuseum Ferdinandeum. Altri furono dispersi a causa dell’avidità di contadini e speculatori. Infatti, gli scavi eseguiti nello stabile Leonardi “destarono nei proprietari degli adiacenti terreni la voglia di fare ricerche per conto loro”. Così nell’inverno tra il 1894 e il 1895 le particelle a sud vennero scavate dai contadini per recuperare e vendere il materiale archeologico, senza che il Campi fosse in grado di convincerli, sotto compenso, a cedergli l’occupazione del campo per eseguire indagini scientifiche. Il dissenso dell’archeologo clesiano per questa pratica si legge nelle sue parole:
 
“Non troppa fiducia meritano le notizie raccolte ed avute sulle condizioni di giacitura. Come si è detto, gli scavi praticati coll’unico intento di lucro, e tanto quanto alla chetichella non ci permettono di tener conto dei particolari di escavazione, perché l’idea di accrescere il valore al materiale sterrato suggerisce non di rado tanto agli scaltri quanto agli ignoranti scopritori, per furberia ai primi, per ingenuità ai secondi, l’affastellamento di circostanze che, in luogo di rivelarne l’importanza e portare lumi allo studioso, ingenerano oscurità, incertezza e dubbi”. 
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